La signora Mariastella Gelmini di lavoro fa il ministro.
E’ mattina, le nove. Le telefona Giulio, un altro ministro, uno di quelli veri, però, che ha delle credenziali e che può prendere decisioni e non è lì a dire “signorsì”, a differenza di Mariastella.
Giulio le dice che deve tagliare. Mariastella sulle prime non capisce, Giulio le spiega che occorre fare una riforma; Mariastella questo se lo aspettava, sa che qualsiasi ministro dell’Istruzione nei primi mesi deve mettere giù una riforma: solo, si aspettava che le dessero istruzioni più dettagliate che “tagliare”.
Non fa niente. Mariastella finisce di caricare la lavastoviglie e si mette subito alla scrivania, al lavoro.
Impugna dati, innanzitutto: li confronta, li incrocia, li analizza; legge rapporti, ascolta i principali consiglieri e analisti, approfondisce. Mette giù una prima bozza di idee. Poi chiama esponenti del mondo scolastico, propone, si confronta, media e soppesa; la bozza si muta in progetto. Decide tagli mirati, prevede la loro ricaduta su qualità dell’istruzione, tempo pieno, organizzazione del lavoro degli insegnanti: confronta ipostesi, le seleziona, le affina. Infine convoca i sindacati, sente il loro parere, tratta, modifica dove la convincono che sia opportuno e si mostra ferma dove non la convincono. Ora il progetto è quasi definitivo: Mariastella si sveglia. Ha dormito con la testa sulla scrivania, ha un foglio appiccicato alla guancia; di tutto quello che ha sognato di fare non ricorda granché e sono già le undici e mezza.
Allora Mariastella spreme le meningi, si arrabatta, fa quello che può: si convince che per tagliare stipendi bisogna ridurre gli insegnanti. Immagina di licenziarli tutti, ma le appare subito un po’ radicale: mette via l’idea, potrebbe venire buona in seguito.
Poi si chiede qual è la cifra minima di insegnanti per classe, e le sovviene “uno”.
Entusiasta, telefona a Giulio.
-Signor Ministro, ci siamo; il maestro uno, che ne dice?
-Mariastella, ti ho già detto che non occorre che mi chiami Signor Ministro, sei ministro anche tu. E poi “maestro uno” fa schifo, meglio “solitario”, “monocratico”, inventa qualcosa di meglio. Comunque l’idea va bene, e il resto?
-Quale resto?
-Ma come, quale resto? Se la presentiamo così, la chiamano “tagli” invece che “riforma”. Santa pazienza, Mariastella, te lo vuoi guadagnare ‘sto stipendio o devo parlare con Brunetta? Eccheccazzi, Fatti venire in mente qualcos’altro e richiamami.
Mariastella è un tantino scoraggiata, ma si rimette al lavoro di buona volontà, questa volta passeggiando per la stanza, per non addormentarsi di nuovo.
Dopo un quarto d’ora richiama Giulio e gli propone: maestro unico, grembiule, voto in condotta, manipolazione del Das: dice che altro, della scuola che aveva fatto lei, non si ricorda.
Giulio le risponde che sì, a parte la cagata del Das può andare, tanto alla fine la faccia ce la mette lei, e le dà il numero di fax per mandargliela.
Mariastella è soddisfatta del proprio lavoro e contenta di avere il pomeriggio libero.
La riforma è fatta, è così semplice che non c’è niente da discutere: e comunque in Parlamento sa benissimo che, ponendo la fiducia, passerà senz’altro.
D’altra parte, se l’ha buttata giù in una mattinata, perché mai il Parlamento dovrebbe impegnare più tempo di così a discuterne?
[Dedicato a mia cognata Giulia e a tutti gli insegnanti che oggi sono a Roma a prendere pioggia e a urlare, inascoltati, il proprio malcontento e timore per un lavoro che amano.]